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Lollapalooza 2018

Una domenica fa, 10° in più e tanto feel-good-vibe in the air.


Anche la quarta edizione del Lollapalooza tedesco è passata.

Ne abbiamo viste di tutti i colori dal 2014. A mio dire, questa volta ci siamo. Forse questa volta gli organizzatori hanno trovato "casa".

Con Tempelhof abbiamo sfiorato la perfezione,

ma con l'Olympiastadion l'abbiamo raggiunta.

Unica nota negativa è legata al posizionamento dell'Alternative Stage che ha subito i volumi del Perry's Stage (il palco electro/house) interno allo stadio. Per il resto le distanze non ci hanno fatto soffrire tanto quanto lo hanno fatto quelle dell'edizione al Treptower Park.



Quest'anno l'entusiasmo per gli artisti in line-up è scoppiato durante i concerti. Ad una settimana non riesco ad interrompere As you were dalla riproduzione automatica. I Kraftwerk sono riusciti ad andare oltre la tridimensionalità del loro concerto, riuscendo a portarmi in uno spazio nuovo quanto antico ma inesplorato. I The National ci hanno regalato una performance umana, troppo umana. Matt Berninger (frontman) è stato «audace ed incontrollato» - non ero pronta e per questo mi sono innamorata. «Grazie per non essere andati a sentire David Guetta», così gli Wombats mi hanno fatto pensare che l'INDIE-IS-NOT-DEAD. Quel genuino lasciarsi andare e rendersi conto che, dopotutto, quella sera del 2011 al Circolo degli Artisti è dentro di me più di quanto creda.

Quindi un weekend (straordinario) come un altro: live music, amici con cui giocare a UNOâ„¢ ed una buona dose di Handbrot *slurp*.


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